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Channel: Nadia Busato – Voci di Brescia
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L’emergenza ambientale siamo noi

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La grande lezione di marketing elettorale nazionale è che la rabbia paga, in termini di voti. Basta trovare un nemico noto, impersonale, riconoscibile, altro, selezionare poche parole chiave, puntare il dito, sparare a zero. Prima del 4 marzo il nemico erano gli immigrati e i vaccini (entrambi colpevoli di “intossicare” la sana Italia). Per le elezioni locali, invece, per non sbagliare, si punta dritti ad A2A. Meglio: al TU, che è, appunto, noto, impersonale, riconoscibile.
Il plotone locale funziona come quello nazionale.
Si apre un sito anonimo, collegato a profili social entro cui rimbalzano gli stessi contenuti, con immagini in bianco e nero catastrofiste; infografiche con tanto di maschere antigas; dati senza fonti; un rapporto indicato come “nostro” che si vorrebbe più autorevole di altri non si capisce su quali basi; e la richiesta di firmare (lasciando i propri dati) una petizione per le istituzioni che chiama in causa una rete di soggetti su azioni per altro già in atto ( si saranno accorti che è iniziata la differenziata a Brescia con l’obiettivo proprio di “diminuire il conferimento dei rifiuti” indicato al punto 1?…se li conoscete, diteglielo).
Si fa un enorme manifesto con notizie false e lo si appende in punti della città molto visibili

– la vera catena di autorizzazione d’ingresso dei rifiuti e l’indipendenza dei criteri di accertamento li potete leggere ogni anno nel Bilancio territoriale pubblico (in quello del 2016 lo leggete da pagina 18).
Si invoca il gomblotto!! rimanendo nell’anonimato.
Si aspetta che la gente voti con rabbia.

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La persona che ha registrato il dominio è un mio amico da oltre vent’anni. Ho discusso con lui, in privato e in pubblico, sul portale e sul manifesto, che personalmente trovo violento e irrispettoso del lavoro che si sta facendo da molti anni a livello locale e nazionale (le leggi ambientali sono ancora troppo blande; ma pensate cos’erano negli anni ’80!), dei risultati e dei cambiamenti importanti, della necessità di affrontare un problema complesso con responsabilità.
emergenzaambiente è, dal punto di vista del web marketing, un bel sito realizzato in meno di un anno di lavoro, dove la trasparenza e la correttezza dei contenuti è molto meno importante della navigabilità e dell’impatto emotivo delle immagini. Come a dire: scienziati, ricercatori, studiosi sono così poco cool che al problema ambientale dedicano -stupidamente- la vita intera invece di concentrarsi sull’aspetto importante: comunicare trendy!
Da sapere: l’interpretazione dei dati su emergenzaambiente (di cui non ci è dato sapere le fonti, così non c’è pericolo che qualcuno vada oltre l’indignazione e magari faccia un atto rivoluzionario: approfondisca) non tengono minimamente conto – volutamente- dello studio universitario presentato pubblicamente l’8 gennaio scorso.
Chi siano gli artefici (oltre al mio amico) di questa ennesima operazione di colpevolizzazione e, insieme, deresponzabilizzazione collettiva lo ignoro. E nemmeno so quanti manifesti siano stati sparsi per la città.
Però due cose so di certo.
Primo: il tema ambientale è terribilmente serio.
Secondo: in questo tema, ognuno ha la sua responsabilità.
E siccome la rete è quel meraviglioso ambiente di vita in cui oltre alle stronzate si trovano anche un sacco di cose interessanti e utili, questo è il mio piccolo contributo perché smettiate di cercare colpevoli e iniziate a essere cittadini consapevoli.

trash

1) Se vuoi, lo fai.
Uno dei progetti più interessanti che ho incontrato in questi anni si chiama If You Want To: una piattaforma di mappatura e condivisione di servizi e pratiche di nicchia (quindi molto locali) che uniscono tecnologia e responsabilità ambientale. IYWTO non è solo una piattaforma per vivere meglio, risparmiare e aiutare l’ambiente; è un movimento globale che parte da una domanda cruciale: internet può incidere nella creazione di una coscienza ambientale collettiva, proattiva, imprenditoriale capace di tradurre idee e buoni propositi in azioni efficaci? Partita con l’idea di mappare circa 500 realtà, oggi IYWTO ne raccoglie oltre 6000, pochissime italiane. C’è naturalmente una sezione dedicata ai rifiuti. Vogliamo provare ad adottare qualche soluzione anche qui, nel nostro contesto locale?

2) Dagli anni ’80 siamo usciti tutti vivi (e molto più lungimiranti).
Il problema ambientale ha accompagnato tutto il ‘900, crescendo al ritmo con cui sono cresciuti il trionfo del modello capitalista, la globalizzazione dei mercati e delle merci (ma non dei diritti), il benessere dei paesi emergenti. In Italia, gli anni ’80 sono stati segnati da una svolta nella responsabilità ambientale e dalla presa di coscienza che i grandi piani industriali nazionali avessero prodotto danni irreparabili e molto più onerosi dei benefici legati all’occupazione. Negli ultimi trent’anni, il salto è stato decisivo: non più solo cercare i colpevoli e punirli a suon di processi eclatanti, ma elaborare piani di sistema, coordinati a livello internazionale, come il Piano per la Decarbonizzazione 2025, la cura del ferro, e persino quel parto infinito che è il PNIRE. Molta parte di questi piani li dobbiamo all’Europa. Un’altro importante, fondamentale contributo lo si deve a investimenti e fondi sulla ricerca applicata, ovvero su quella fase in cui dalla ricerca teorica e dai modelli si passa a dimostratori e applicazioni in contesto reale, ma sempre con il rigore e il metodo scientifico. Unica eccezione a questo lento progresso -su un tema che invece richiederebbe azioni decise e tempestive- è il PRIA, il Piano Regionale degli Interventi per la qualità dell’Aria che Regione Lombardia continua ad aggiornare e sottoscrivere senza mai attuare davvero. Eppure, nelle elezioni lombarde (come in quelle nazionali) il tema ambientale non è stato nemmeno lontanamente sfiorato: possibile che al di là dell’indignazione e del terrore, ai miei concittadini non gliene freghi niente?

3) Il valore delle cose.
Quando Bauman teorizzò la “società liquida”, delineò uno scenario dove il benessere di pochi si basa sulla produzione continua e sempre maggiore di rifiuti; anche umani. È facile indignarsi di fronte a un messaggio di marketing ambientale ben confezionato; ben altra cosa è fare scelte ecologiche ogni giorno. Il tema ambientale è strettamente legato a un’inaridimento della vita, dove la ricchezza passa dagli affetti e dal valore delle persone all’accumulo di cose, sempre più inutili e di scarso valore. Quello che acquistiamo è il frutto del lavoro di altri, che include la loro dignità, la loro sicurezza, l’impatto ambientale del loro lavoro. Se acquisti cose che valgono poco, implicitamente contribuisci a una catena di produzione dove ogni aspetto (umano, ambientale, materiale) vale quasi niente. Nel mondo globalizzato è difficile avere piena consapevolezza di tutto questo; e il trionfo della liberalizzazione rende spesso impossibile avere un’alternativa (come nel campo della tecnologia). Però qualcosa si può fare. Ad esempio, a Brescia gran parte della riqualificazione di aree urbane si deve alla colonizzazione dei makers, artigiani 2.0 che sanno fare ma sanno anche progettare, sanno usare le tecnologie, sanno promuoversi e, in generale, fanno impresa artigiana in un modo creativo. Tra queste, molte sono le attività di sartoria. Comprare da sarte e stilisti della città non è solo avere un abito artigianale (quindi unico): significa anche sostenere un’importante riqualificazione urbana, dare valore al lavoro di persone che conosciamo, contribuire a contenere gli impatti devastanti della fast-fashion, la moda usa e getta, frutto di una catena del dolore, di schiavizzazione e cannibalismo ambientale, oggi seconda industria più inquinante al mondo (vedere subito The true cost!). Un abito che fa così bene, non può che essere molto più speciale.

4) La rete è una cosa seria.

Non c’è nessuna categoria professionale o comparto economico nel mondo occidentale che negli ultimi due decenni non sia stato colpito (o, talvolta, travolto) dalla disruption digitale. Smartphone, internet veloce, connessioni wifi, algoritmi, cloud computing, app e via discorrendo hanno irreversibilmente cambiato le condizioni, le opportunità e le modalità di lavoro e di consumo.

Così scrive Gea Scancarello nel suo blog Pane e Sharing. Gea – che fa la giornalista come lo fanno le donne intelligenti e di talento: anticipando, creando, rischiando – ha scritto nel 2015 un bellissimo libro-inchiesta sulla sharing economy, allora fenomeno nascente. Il libro si intitola Mi fido di te, e mette al centro una questione molto importante: il mondo della condivisione dei beni e dei servizi non è basato solo sul risparmio, bensì sullo sforzo quotidiano di aprirsi al mondo e di dare valore alla conoscenza, alla curiosità dell’altro, alla complessità di ciò che non sappiamo prima che ai soldi. Volete contribuire a migliorare l’ambiente? Fate pooling (ovvero: date passaggi), fate sharing (condividete le cose quando non le usate), costruite network (reti) e partecipate alle community (gruppi e comunità) ecologiche, responsabili, ambientali. Insomma: usate la rete per avvicinarvi agli altri; non con le parole scritte dalla tastiera, ma con ciò che avete di più caro: voi stessi, nella vostra realtà e imperfetta, limitata, unica fisicità. Nel frattempo, quando si presentano battaglie di regolamentazione della sharing economy, cogliete l’occasione per informarvi e farvi un’opinione: incapace di capire e di governare il mercato nei suoi momenti di cambiamento (è successo banalmente anche con l’adozione dell’euro) l’Italia rimane polarizzata tra vietare e deregolamentare. Io suggerisco di fare come a scuola: copiare da chi ha fatto bene. Lo sapete che in Olanda chi affitta con airbnb paga tutte le tasse, anche quelle di soggiorno?

5) Abbiate fiducia nei bresciani.
Non accettate prediche dagli sconosciuti. Ma valutate con attenzione chi vi propone modelli di vita alternativi che vi chiamano in causa direttamente e vi costringono a rivedere le vostre abitudini più dannose per l’ambiente. Brescia è una città piena di esperienze di comunità e partecipazione ad alta responsabilità ambientale, in città come nella provincia. Mi vengono in mente ad esempio i molti progetti della Cooperativa Cauto, le iniziative promosse e ospitate da Ambiente Parco come la ciclofficina, e tante realtà di quartiere (sartorie sociali, officine di riparazione per oggetti di uso domestico, piccole banche del tempo) che funzionano anche se non sanno farsi dei siti-web sensazionalistici su internet. La consapevolezza ambientale e la responsabilizzazione della città e dei cittadini in questi anni è cresciuta molto. Io ho un punto di osservazione privilegiato, naturalmente; e so che crescerà ancora di più se proseguiremo nel fare progetti di sistema complessi, che includono privati, cittadini, imprese e galassia no profit.

7-Days-Of-Trash

Ultimo piccolo contributo.
Nel 2015 il fotografo Gregg Segal ha realizzato un reportage dal titolo 7 giorni di spazzatura in cui fotografava le persone circondate, appunto, dalla spazzatura che producono in una settimana (alcune delle foto sono in questo post).
Anche io nel mio piccolo, in questi ultimi anni, ho sensibilmente ridotto la produzione di rifiuti domestici e cambiato in meglio le mie abitudini energetiche. Se mai possa esservi utile, ecco alcuni cambiamenti chiave che ho fatto nella mia quotidianità.
1) Ho smesso di usare assorbenti. Da quando ho scoperto che sono quasi il 3% dei rifiuti urbani e che sono la causa primaria di infezioni, sono passata alle coppette in silicone. Libertà, salute e ambiente: una delle scelte migliori che abbia mai fatto in vita mia.
2) Ho smesso di comprare acqua in bottiglia. Saputo che è meno controllata di quella del Sindaco (le PET una volta l’anno, quella del rubinetto una volta al giorno, a Brescia persino censita per quartiere e consultabile on line), ho detto addio alla plastica e ai miei quattro piani senza ascensore con 9 kili per braccio. Tutta salute.
3) Ho iniziato a cucinare meglio. Cose che già sapete: sbuccio meno le verdure, uso cotture che producono meno scarti, mangio le patate con la buccia. Ma ho anche iniziato a farmi io cose semplici; come lo yogurt: con un vasetto e un litro di latte nella mia yogurtiera comprata usata evito ogni settimana montagne di barattoli in plastica e cartoni inutili.
4) Ho ridotto i detersivi. Non servono mille prodotti per casa; soprattutto, quelli in confezioni di plastica così spessa da essere antiproiettile. Le mie amiche mi prendono in giro chiamandomi la reginetta dell’aceto perché lo uso praticamente per tutto. Comunque, in casa ho 6 detersivi; e sono certa di poterli ridurre ulteriormente.
5) Faccio la spesa ai negozietti e al mercato. Come detto, la questione ambientale implica un modo diverso di relazionarsi al proprio ambiente di vita. Comprare nei piccoli negozi di alimentari quello che mi serve ha tanti benefici, per la mia salute, per il mio portafogli, per il quartiere in cui abito.
6) Mangio meno. Sembrerà una sciocchezza, ma ridurre il cibo e i pasti, eliminando merende, snack, spuntini, caramelle confezionate a una a una, riduce anche la spazzatura che produco.
7) Lavo meno. Noi – e parlo di Italia – facciamo un uso criminoso dell’acqua, ogni giorno, in ogni casa, in ogni impiego. Siamo abituati a non considerare un problema la penuria di acqua potabile e la sprechiamo senza alcun ritegno, con noncuranza. Invece, l’acqua è preziosa. Dopo essere stata a Pechino, dove si usa (ed è vietato bere) una specie di cosa oleosa che non chiamerei acqua, ho imparato a usarne molto meno nelle mie giornate.
8) Pago per sapere. Conoscere e informarsi sono cose serie. Ci vuole del lavoro per costruire notizie attendibili. E chi fa questo mestiere, si prende anche la responsabilità di rispondere di quel che scrive. Quindi niente: compro i giornali, mi abbono alle riviste; e soprattutto… li leggo. Sempre Gea, che ho citato prima, ora sta lavorando a un libro sull’economia dell’attenzione: come sempre, è perfettamente sul pezzo. E io non vedo l’ora di leggerlo.

C’è anche tanta buona informazione gratuita e on line, comunque. Ma bisogna imparare a dare valore alle fonti; che non devono avere un sito accattivante: devono avere autorevolezza.
E adesso finisco come ho iniziato: tra le tante scemenze che leggete su emergenzaambiente viene chiamato in causa un non ben specificato studio dell’Agenzia Europea dell’Ambiente che includerebbe un terzo posto per Brescia tra le città più inquinate del continente. Ebbene, nel rapporto EEA2017 sulla qualità dell’aria non c’è scritto nulla del genere. Potete leggerlo qui: l’EEA è appunto una di quelle fonti autorevoli che, per mandato, fa pubblicazioni gratuite. Nessun riferimento a Brescia. l’Italia non è la peggiore (se non per scarsità di data set, al pari di Spagna, Grecia e Austria). Negli episodi più gravi relativi al PM10 (marzo 2017) nella macroregione si fa riferimento esplicito a emissioni agricole, traffico, emissioni industriali.
L’emergenza ambiente è una cosa seria. Se ci tenete davvero (e lo speriamo in molti, sempre di più), impegnatevi bene: con correttezza, trasparenza, responsabilità.

Dana.


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